Cerca nel sito :      

Home






News 
 
 
Indennità di scioglimento del rapporto 

Dopo gli Accordi Economici Collettivi anteriori al Codice Civile (25.05.1935 e 30.06.1938) l’indennità di cui si parla è stata riconosciuta oltre che come previdenziale e retributiva, anche come risarcitoria.

La natura dell’attività dell’agente, legata all’organizzazione produttiva dell’impresa, non poteva che confermare la qualificazione di apporto patrimoniale legata a questa indennità.

Non solo l’agente contribuisce all’incremento patrimoniale dell’azienda, ma subisce nel contempo una perdita e un danno a seguito della cessazione del rapporto.

A fronte di uno sviluppo della clientela, l’agente può perdere il vantaggio che da ciò si determina, in riferimento ad un eventuale recesso della preponente. In sostanza si verifica, accanto ad un incremento dell’avviamento del preponente, una possibile perdita, una “diminutio” dell’avviamento dell’agente, da valutare caso per caso.

Nel 1971, con Legge n. 911, il carattere dell’indennità fu modificato attribuendogli la natura di “retribuzione differita”.

Nello stesso momento venne a verificarsi la necessità di introdurre, nella contrattazione collettiva, una nuova indennità, definita come indennità suppletiva di clientela.

Nel diritto italiano si era determinata la necessità di coordinare la norma dell’art. 1751 c.c. con gli accordi economici collettivi.

L’ultimo accordo (quello del 13.10.1958) aveva cercato di dare veste organica a quest’opera di coordinamento, istituendo un trattamento previdenziale che sostanzialmente assorbiva l’indennità fissata dai precedenti accordi e disciplinando autonomamente l’indennità di scioglimento ex art. 1751 c.c., richiamato dall’art. 9 dell’A.E.C. del 20.06.56. Un incremento veniva portato dall’A.E.C. 18.12.74 e dai successivi A.E.C. 18.1.77, 19.12.79, 9.6.88 e 16.11.88.

Il problema relativo ai limiti di applicazione del “ fatto non imputabile”, si riferisce all’indennità di anzianità prevista per il contratto di lavoro subordinato. Ai fini interpretativi non può che ritenersi utilizzabile la disciplina contenuta nell’art. 2120 c.c..

Di conseguenza deve considerarsi fatto imputabile o la colpa grave dell’agente, tale da determinare la risoluzione del rapporto, o il recesso volontario.

Nel primo caso la colpa dell’agente non può che essere costituita da un grave inadempimento, in relazione alla natura fiduciaria del rapporto. Non è pensabile alcuna altra causa di risoluzione in tronco del rapporto.

In seguito alla direttiva comunitaria sugli agenti commerciali indipendenti del 18.12.1986, attuata in Italia con il Dcr. Lgs. 10.9.1991 n. 303, l’art.1751 c.c. ha subito notevoli modifiche.

Il problema è quello relativo alla adesione alla normativa europea rispetto a quella definita dal diritto italiano. Difatti il legislatore italiano ha emesso l’attuale normativa in attuazione di quella comunitaria, con un ritardo di oltre un anno e mezzo, comunque prendendo lo spunto dalle leggi di attuazione tedesca e olandese e dalle date fissate nella direttiva.

Deve comunque essere confermato che una direttiva comunitaria vincola lo Stato membro (art. 189 del Trattato di Roma), e che più volte la Corte di Giustizia ha affermato il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, sia anteriore che successivo alle disposizioni comunitarie.

Più volte è stato affermato dalla Corte di Giustizia delle comunità europee che “nell’applicare il diritto nazionale ed in particolare la legge nazionale espressamente adottata per la attuazione della direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato contemplato dall’art. 189, III comma”.

Sempre l’art. 1751, al IV comma, dispone: “la concessione dell’indennità non priva comunque l’agente del diritto all’eventuale risarcimento dei danni”. Stesura quest’ultima che si richiama al testo dell’art. 17 della direttiva, il quale stabilisce che la concessione dell’indennità non priva comunque l’agente della facoltà di chiedere un risarcimento dei danni.

Il testo della direttiva, e successivamente della norma recepita nel codice italiano conferma la natura principalmente retributiva e previdenziale, lasciando del tutto aperta la possibilità del danno risarcibile, che deve riscontrarsi in qualsiasi caso in cui sussista un comportamento da parte del preponente, al momento della risoluzione da parte sua del contratto, che in qualche modo tale danno abbia provocato.

 GLI ACCORDI ECONOMICI COLLETTIVI “Ponte” 1992

Studio Legale Potito' - Via Mascarella 59 , Bologna